Parlare in pubblico per molti ha a che fare con mani che sudano, arti tremolanti, occhi che vagano atterriti per la sala, batticuore, fifa blu. Con gradi diversi di gravità che talvolta fanno annoverare questa esperienza fra le meno piacevoli.
Ma perché, pur essendo preparati, il cervello si annebbia e le parole non vengono? Quasi sicuramente la ragione è che ci siamo preparati, anche molto accuratamente, in un ambiente asettico, privo di emotività, limitando la nostra preparazione ai soli tragitti mentali dell’esposizione. Improvvisamente, nel momento della “performance”, ci troviamo immersi in un contesto altamente emotivo, condizionato da fruitori che con la loro semplice presenza aspettano di essere coinvolti. In quel momento, in modo del tutto naturale, l’emozione chiama in causa il corpo, modificando respirazione, battito cardiaco, coordinamento motorio, rilascio di particolari sostanze chimiche (ad esempio l’adrenalina).
E’ evidente che questo “innescarsi” del corpo causato dall’emotività è un fattore di disturbo, per un’esposizione nata come progetto mentale. Ecco perché una sensibilità glaciale riesce a mantenere più facilmente l’organizzazione mentale. Ma difficilmente corrisponderà a un oratore emozionante e trascinante. Così come chi tenta di difendersi dall’emozione del parlare in pubblico creando “abituazione” (ad esempio ripetendo moltissime volte il discorso), che tenderà comunque a separarsi dallo spazio comunicativo. In entrambi i casi viene a mancare il fattore fondamentale della relazione. Prepararsi a comunicare davanti ad una platea significa dunque mantenere costantemente attivi ed integrati corpo, mente ed emozione. Senza questa azione integrata è impossibile immaginare una comunicazione autentica. Come? Arrivederci ai prossimi post su quest'armomento!